Alcune persone hanno la sensazione che la notizia della diffusione di un nuovo virus nel mondo, il covid-19, risalga a pochissimo tempo fa, per altri invece sembra essere passato molto più tempo. Una cosa è certa: è circa un anno che ci confrontiamo quotidianamente con un nuovo modo di vivere la quotidianità e le relazioni e in tutto ciò non possiamo non domandarci in che modo questo periodo di forte stress prolungato stia incidendo sul nostro cervello. Il nostro sistema nervoso, infatti, risente di qualsiasi cosa noi facciamo e quindi è importante chiedersi: in che modo sta rispondendo a questa situazione di minaccia e pericolo rappresentata dal coronavirus? In che modo viviamo l’isolamento sociale?
La Teoria Polivagale (2014) del neurofisiologo Stephen Porges ci aiuta a rispondere a queste domande. Essa si basa sull’evoluzione biologica del nostro sistema nervoso, cerca di spiegare in che modo si attivano le reazioni dell'uomo in situazioni di pericolo e ci aiuta a comprendere in che modo questa situazione di pandemia possa agire sulla nostra regolazione fisiologica ed emotiva e sulla nostra percezione del rischio.
Bisogna partire dall’evoluzione biologica del nostro sistema nervoso per capire che cosa ci accade e quali possibilità di fronteggiamento abbiamo a disposizione quando ci troviamo di fronte ad un pericolo, reale o percepito. Il nostro sistema nervoso risponde allo stress e al pericolo secondo un’organizzazione gerarchica che corrisponde alle fasi che si sono succedute durante l’evoluzione e secondo questo principio il sistema nervoso autonomo dell’uomo utilizza dapprima le risposte adattive maturate nelle fasi più recenti della nostra evoluzione, ma quando queste non servono più a metterci al sicuro, utilizza via via le risposte più primitive, seguendo così a ritroso la storia evolutiva della nostra specie. Le risposte adattive più mature e filogeneticamente più recenti hanno a che fare con il coinvolgimento sociale, con comportamenti di vicinanza, collaborazione e aiuto reciproco mentre quelli più antichi e immaturi si manifestano con comportamenti di blocco, fuga e/o attacco (Porges S., 2018). Spieghiamole nel dettaglio:
- Immobilizzazione: è la modalità di difesa più arcaica che si attiva in situazioni percepite come estremamente pericolose, provocando l’immobilità del corpo. In questo caso, dunque, reagiamo alle nostre paure con congelamento (freezing) e anestesia emotiva.
- Attacco/fuga: reazione difensiva mediata dal sistema nervoso simpatico, che ci permette di reagire mobilitando il nostro corpo, con reazioni attacco o fuga, quando percepiamo di dover garantire la nostra sopravvivenza.
- Ingaggio sociale: si tratta della reazione più evoluta del nostro sistema nervoso e si manifesta SOLO quando percepiamo una situazione di sicurezza e interconnessione con gli altri.
Se nella quotidianità eravamo abituati a muoverci tra situazioni di sicurezza e situazioni percepite come pericolose, attivando in maniera alternata ed equilibrata risposte di protezione e di evitamento del pericolo, l’emergenza sanitaria che ci ha colpito ci ha spostato maggiormente sul versante del tipo attacco/fuga, bloccando l’attivazione della risposta difensiva più evoluta che è quella del coinvolgimento sociale. Perché? E’ proprio il contatto sociale ad essere diventato una fonte di pericolo, non abbiamo dunque la possibilità di attingere alla risorsa dell’ingaggio sociale perché percepiamo il sistema come non sicuro. Questa percezione arriva dalla Neurocezione ossia un processo immediato, al di fuori della consapevolezza e adattivo che interpreta continuamente l’ambiente leggendolo in termini di “situazione di sicurezza” o “situazione di pericolo”. La Neurocezione determina anche come comunicare e agire nel contesto di appartenenza per cui attraverso di essa colleghiamo la valutazione del livello di rischio/sicurezza dell’ambiente al comportamento prosociale: solo quando ci sentiamo al sicuro possiamo avvicinarci e cercare l’Altro (www.Societàitalianaperlostudiodellostresstraumatico.it).
Come si intreccia dunque tutto ciò con l’emergenza Covid-19? La percezione prolungata di un ambiente che non è più sicuro e in cui è proprio il contatto con l’altro a rappresentare una minaccia alla sopravvivenza, ha fatto sì che le modalità di difesa più mature siano state inibite per attivare la modalità di sopravvivenza basata sulle reazioni di attacco-fuga mediate dal sistema nervoso simpatico. Questo ci permette di spiegare quei comportamenti apparentemente irrazionali che si sono diffusi nella popolazione, come gli assalti ai supermercati e gli attacchi sferrati verso gli sportivi che si allenavano all’aperto.
Come modificare questa tendenza? Dobbiamo cercare di riportare il nostro sistema nervoso in uno stato ottimale di armonia, personale e collettiva. Dobbiamo allenare il nostro corpo a vivere una condizione di allentamento della tensione anche in situazioni di stress e pericolo. Le tecniche di respirazione consapevole sono particolarmente efficaci: respirare con maggiore frequenza ma minore intensità, estendendo il tempo di espirazione, permette di rallentare la frequentare cardiaca ed entrare in uno stato di calma. Anche ricostruire le reti sociali rappresenta una via fondamentale in questo processo di auto-regolazione: quando ci relazioniamo all’Altro infatti ciò che guida l’interazione è proprio il rapporto diadico tra la propria Neurocezione e quella dell’altro, in un costante rimando di feedback che regolano l’affettività e promuovono sensazioni di sicurezza e fiducia (Porges S., 2018). Attraverso le Neurocezione, dunque, interpretiamo gli stati emotivi dell’Altro, focalizzandoci su aspetti quali il volume e intonazione della voce e questo, di conseguenza, influisce sul nostro stato emotivo.
Porges, a tal proposito, sottolinea come questo aspetto sia molto importante nel processo terapeutico in quanto il senso di sicurezza sperimentato nella relazione tra terapeuta e paziente rappresenta una condizione essenziale affinché una persona possa star bene e andare incontro a dei cambiamenti: “senza sicurezza non ci può essere né relazione né regolazione, perché senza sicurezza la tutta la nostra energia è impegnata nella difesa”.
Se è vero dunque che la percezione di un ambiente pericoloso attiva sistemi di difese che, a lungo termine, possono risultare disfunzionali per la salute, è vero anche che la percezione di trovarsi in relazioni sicure favorisce uno stato di armonia che si auto-alimenta. La strada da seguire è quella di non rinunciare al coinvolgimento sociale perché esso non rappresenta solo un veicolo potenziale di contagio negativo ma anche di contagio positivo. Come ci ricorda la Società Italiana per lo studio dello Stress Traumatico: “la Neurocezione della calma è contagiosa quanto quella del rischio. Coraggio!”
Bibliografia e Sitografia:
Porges S. La guida alla teoria polivagale. Il potere trasformativo della sensazione di sicurezza. Giovanni Fioriti Editore, 2018.
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